Ci sono persone che sono abituate a stare da sole, a tenersi i propri spazi e che, anzi, sono talvolta poco adattabili e flessibili alle esigenze di altri o ad attività di gruppo.

Ci sono invece persone che sole ci sanno stare poco. Anzi, a volte, si trovano di fronte a un vero e proprio terrore di trovarsi da soli. Ecco allora il tentativo di stare sempre fuori casa, di passare più tempo al lavoro o in attività varie e variegate (palestra, shopping, aperitivi, corsi) per evitare il momento di trovarsi soli in una casa che sembra vuota, a tu per tu con se stessi.

Ma perché la solitudine fa paura?

 

La paura della solitudine

Lo stare a tu per tu con se stessi apre lo spazio alla riflessione e all’autoanalisi. Spesso quindi si ha paura di stare da soli, innanzitutto per non pensare. La solitudine viene associata quindi con l’incontro con la parte più nascosta, più fragile e a volte più “buia” di noi. Quella è anche la parte tuttavia che andrebbe maggiormente “curata” e “coccolata”.  “Curare” questa parte di noi significa, quindi, darle attenzioni. La fragilità non è qualcosa da tralasciare e cercare di dimenticare, come invece spesso si tende a fare.

Non stare mai da soli ci preclude di entrare in contatto anche con questa parte, che a volte è anche una di quelle più autentiche.

Prevale invece (e nella nostra società risulta facile, perché gode di una generale approvazione sociale) il “fare”: l’attivismo e la corsa in mille attività è a volte una fuga dalla solitudine

 

Non essere capace di stare da soli

A volte il tentativo di fuggire dalla solitudine può essere legato a scarsa abitudine. Molte persone, soprattutto donne, non hanno mai avuto periodi “di solitudine”. Sono passate da una relazione all’altra, hanno sempre avuto il supporto di un compagno o di una famiglia di riferimento. Poi sono subentrati magari i figli per casa… insomma lo spazio per costruirsi spazi propri o di “indipendenza” con amiche è risicato, al punto che, quando questo accade, perché magari una relazione o un matrimonio finiscono, si risulta spiazzati come in un Paese straniero. Cosa fare da soli? Chi si prenderà cura di noi? Come imparare a prendersi cura di se stessi?

 

Pensieri irrazionali

A volte il disagio nella solitudine è legato a schemi della nostra mente, che non hanno, tuttavia, valore universale. C’è chi si dice “se sto a casa da solo al sabato sera, significa che sono proprio sfigato/a” e, così facendo, dà avvio a una catena di pensieri negativi e poco nutrienti: “non ho veri amici”, “nessuno mi vuole bene”, ecc.

Io ad esempio, quando ho iniziato l’università, mi vergognavo a farmi vedere in mensa a mangiare a un tavolo da sola. Mi dicevo che gli altri intorno a me stavano sicuramente pensando che ero davvero una persona sola e poco interessante. Mi sfuggiva completamente che: 1) potevo anche non essere al centro dell’attenzione e quindi poteva essere plausibile che nessuno stesse realmente badando a me 2) potevano esserci tanti altri studenti al primo anno, che si trovavano nella mia stessa e legittima condizione di non conoscere ancora nessuno 3) poteva essere anche una mia libera scelta! (la possibilità e il piacere di pranzare da sola, non per “obbligo” ma di mia volontà, li ho imparati solo dopo alcuni anni e grazie al mio amore per i viaggi).

 

Come usare quindi la solitudine affinché diventi nostra amica ed alleata?

 

1) L’ozio creativo

Gli stessi Romani sostenevano la necessità, insieme al lavoro, di periodi di “otium”, che non era da loro inteso come “un pigro far niente”, ma come un momento di fondamentale ricarica personale, attraverso del tempo dedicato allo studio e alle proprie passioni.

solitudine

Il concetto poi di “Ozio Creativo” è stato proposto dal sociologo De Masi. Una delle sue componenti è quella del “Gioco”. Vi ricordate di quando passavate ore e ore a giocare da soli in camera, persi nella fantasia e nell’invenzione? Quella è la dimensione da ritrovare, dal momento che spesso molti

di noi dimenticano e attivano poco il loro lato “Bambino”, connesso con la libertà e la creatività fine a se stessa.

La solitudine può essere un tempo dedicato proprio a questa riscoperta. Le grandi idee e intuizioni non possono arrivare se si è sovraccaricati di attività o di chiacchiere con altri. Ricordiamoci che gli stessi fondatori di Google hanno adottato la regola del 20 per cento con i loro programmatori. Per un giorno alla settimana i genietti del noto motore di ricerca devono seguire solo questa regola: “Fai qualcosa che ti appassioni”!

Dal giardinaggio alla “semplice” colorazione dei mandala, la solitudine si può usare per “staccare la mente” e allenare la parte creativa, spontanea e bambina… anche questo è un nutrimento per il cervello.

 

2) La cura di sé

Ma perché la solitudine fa paura?Quando è stata l’ultima volta che avete avuto il tempo di dedicarvi a un bagno caldo? Di prepararvi una cenetta sana e fatta in casa? O di dedicarvi del tempo per una coccola (ad esempio per spalmare una crema profumata su tutto il corpo?)

Gli spazi di solitudine possono essere funzionali a questo, al nutrimento del corpo in tutti i sensi. Vedrete che l’autococcola migliorerà anche l’umore.

 

3) Viaggiare in solitudine

Perché, infine, non usare quel week end da passare da soli che ci fa tanto paura per dedicarci a un piccolo viaggio o a una gita fuori porta?

Il viaggiare da soli è ormai da molti considerato “terapeutico” (ne ho parlato anche qui): rafforza l’autostima e il senso di autoefficacia perché ci fa uscire dalla nostra zona di comfort e ci fa capire che abbiamo le risorse per destreggiarci in situazioni difficili e inusuali (che per alcuni può essere orientarsi da soli in una città sconosciuta a piedi e per altri prendere i mezzi pubblici in un Paese straniero… a ognuno le sue sfide!). Consente inoltre di farsi nuovi amici estemporanei, di conoscere persone che ci accompagnano anche soltanto per il breve spazio di un viaggio in treno, ma che ci fanno capire che il mondo è pieno di possibilità di scambi e interazioni… anche quando ci sentiamo un puntino nell’Universo!

 

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